In una Londra periferica, cupa e piovosa, David Cronenberg mette in scena la tragedia della schiavitù di quanti dall’Europa dell’est si rivolgono alle nazioni più ricche alla ricerca di un riscatto, di una vita migliore. E’ una storia di schiavi quella di Cronenberg, con un lieto fine che non allieta.
Una quattordicenne russa morendo da alla luce una bambina che un’ostetrica (Naomi Watts) vuole salvare dall’affidamento, cercando le origini della famiglia della ragazza in un diario trovato nella borsa della giovane madre. Dalla traduzione delle pagine del diario verrà fuori una storia di violenza, di soprusi e schiavitù, legata alla cosca russa Vory y Zakone da cui la ragazza non è riuscita a liberarsi. Da questo nucleo Cronenberg sviluppa un’intreccio densissimo, fatto di profondità psicologiche e forti conflitti interiori. E’ il caso di Nikolai (Viggo Mortensen) autista della cosca, nonché braccio di macabri occultamenti di cadaveri. In lui schiavo e aguzzino si intrecciano, tra disillusione e tormento per una condizione a cui è costretto e a cui costringe, suo malgrado, le giovani donne dell’est.
Ma anche i capi dell’organizzazione per la quale Nikolai presta servizio vivono, a loro modo, una condizione di coercizione. Krill (Vincent Cassel) è schiavo dell’autoritarismo del padre, represso nelle sue pulsioni sessuali e costretto a fare i conti con una posizione che gli impedisce di essere ciò che vuole. Semyon (Ammin Mueller-Stahl), padre di Krill e capo dell’organizzazione, ricopre il suo ruolo con la crudeltà che necessita la conservazione del suo potere, a cui non può sottrarsi.
E’ un film diretto magistralmente: elegante, pulito anche nelle scene più cruente. In questo film Cronenberg torna sul suo tema preferito, quello del corpo e della carne, ma lo riaffronta con i canoni del cinema classico, lontano dalle psicosi surrealiste di Inseparabili(1988) o eXistenz(1999).
Infatti la schiavitù passa attraverso la coercizione del corpo, quella dello sfruttamento sessuale da un lato e quella dei corpi martoriati dalla cieca violenza dalla mafia dall’altro. Merita certamente un accenno la scelta da parte del regista di rappresentare gli omicidi esclusivamente con armi da taglio; e i tagli nella carne sono ferite vivide, e il non-senso della violenza trasuda attraverso di essi. Una scena esemplare è certamente la lotta nella sauna tra Nikolai e due sgherri assoldati per ucciderlo; una fotografia formidabile dove i coltelli, vere e proprie protesi dell’assassino, incidono nella carne i segni della violenza evitando il freddo distacco dell’arma da fuoco.
Il corpo di Mortensen sguscia tra i suoi assassini con movenze potenti e sensuali; il suo è un correre via al contempo dalla morte e dal peccato. Troverà redenzione, anche se la strada che gli riservano Cronenberg e Steven Knight (la sceneggiatura è infatti scritta a quattro mani) può lasciare insoddisfatti i cinefili più esigenti. Ottime le prestazioni di tutti gli attori in scena; un accenno particolare merita quella di Mortensen, perfetto nel suo progressivo guadagnarsi il centro della scena. D’altro canto il film convince in tutti i suoi aspetti e non può che essere annoverato tra le migliori opere cinematografiche degli ultimi anni.
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